Puerili

 

Non è per il momento mia intenzione offrire all’internauta testo e commento di molte delle Puerili (ovvero “i” Puerili: questione di gusti, e del sostantivo cui li rapportiamo)1, di cui non sono particolarmente competente, e delle quali esiste comunque un magnifico lavoro, che quasi quarant’anni trascorsi dalla sua edizione, sembrano aver intaccato ben poco. Parlo ovviamente di Tutti gli scritti inediti, rari e editi 1809-1810 di Giacomo Leopardi, a cura di Maria Corti, Milano, Valentino Bompiani, 1972, forse più conosciuto per il soprattitolo “Entro dipinta gabbia”, tratto dal primo verso de L’Ucello.

Pure, ritrovandomi alcuni “fossili” dal mio vecchio sito, e considerato che questi primi componimenti son mal reperibili sul web – e quando lo sono non rispettano la trascrizione intelligentemente diplomatica data loro dalla Corti – li ripresento, con noticina testuale e breve commento, rimandando chi volesse saperne di più alla splendida edizione offerta dalla studiosa.

Chi fosse interessato a tutte le Puerili può consultare con profitto il sito:

 

<http://www.bibliotecaitaliana.it/> (07-05/2010)

 

il cui testo mi sembra abbastanza corretto, anche se, per esigenze di formattazione, tradisce la struttura e la disposizione originale di pagina dei componimenti, quale invece è costantemente perseguita da Maria Corti, che pure è testo di riferimento della «Lexis», cui i testi elettronici del sito risalgono. Chi ritenga questi particolari inutili e frivole pedanterie (la stessa Corti se ne schermiva e a torto, ché il suo lavoro è valido tuttora proprio per la sua pignola precisione) dovrebbe riflettere che questi componimenti si ritrovano rilegati in quadernetti precisi e ordinati, con tanto di frontespizio e copertina, cui, per essere stampa, mancano solo i caratteri della tipografia. Costume che Giacomo portò avanti per non poco tempo, se il Cancellieri, da lui interpellato per promuovere l’edizione (che poi non si farà) delle Triopee così, il 4 dicembre 1816, gli scriveva: «La di lei graditissima Lettera ricevuta con l’aureo suo Libretto della traduzione delle Iscrizioni Triopee, che a prima vista mi è sembrato di già stampato, per la somma nitidezza con la quale è scritto».

So che all’internet queste cose poco interessano; ma, da vecchio dinosauro qual sono, continuo a credere che la filologia sia non un gioco erudito, non una nicchia che si autoreferenzia, non una gara a chi è più bravo o più furbo, ma, conforme alla sua etimologia, un atto d’amore: ni te plus oculis meis amarem scriveva catullianamente lo Studemund quando perdeva letteralmente gli occhi cercando d’interpretare il palinsesto plautino distrutto dagli acidi del Mai. Molti pseudo-editori, non solo internettiani, dovrebbero rifletterci.

L’Ucello (1810)

 

 

 

 

Cover delle Poesie disperse, ed. Gavazzeni 2009

 

 

Sovracopertina dell’edizione delle Puerili di Maria Corti. Si noti, in particolare, il disegno dell’uccello, che è riproduzione di un disegno autografo dello stesso Leopardi, in calce alla composizione L’Ucello, quasi una sorta di teognidea sphragís (modernamente ‘marchio di fabbrica’), ma soprattutto desiderio d’evasione e di volar alto sopra l’umana mediocrità.

 

1— Sta però di fatto che Leopardi li connota solitamente al femminile e anzi, nei suoi Indici, parla espressamente di Opere e Produzioni, per cui il filologo deve rigettare il genere comunemente vulgato.

 

 

© 07-05/2010—> 04.07.2019