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Avevo immesso in rete, la prima volta, questa poesia il 26 marzo del 2000, come segno della mia riconoscenza al fu <www. fabula.it>, che per quattro anni mi ospitò, in maniera del tutto indipendente e disinteressata sulle sue pagine (e allora lo spazio web costava...), dedicandogli una delle poche cose leopardiane che potesse essere assimilata in qualche modo ad una favola, e che ha il privilegio, forse, di essere il primo grido di evasione di Muccio dal natio borgo selvaggio.

La lirica, pubblicata infelicemente (fin nello stesso titolo, con la doppia invece che la scempia: L’uccello) per la prima volta in G. L., Puerili e abbozzi vari, a c. di A. Donati, Bari 1924, venne poi ripresa, dai seguenti editori (Flora, Binni-Ghidetti) fino alla splendida edizione di Maria Corti del ’72. Di essa tien conto il bravo Rigoni, che però, per una scelta editoriale completamente “sballata”, mi si permetta dirlo, uniformizza indebitamente la punteggiatura. Il testo che qui si ripresenta segue fedelmente la Corti, ma ho aggiunto punto fermo a titolo e genere, volutamente omessi dalla studiosa, giusta i suoi criteri d’edizione (che peraltro ne dichiara la presenza nell’autografo). Ho altresì aggiunto il punto fermo al v. 4, perché richiesto dal senso, a prescindere o meno che esso si ritrovi sull’autografo. Al di là della punteggiatura segnalo, a titolo di curiosità, la classica congettura diagnostica di molti editori, che leggevano, al v. 18 *scotendo, ove è da da notare l’infrazione a testo della legge del dittongo mobile (scuotendo), che il Leopardi maturo difficilmente avrebbe commesso (cfr. l’ed. crit. dei Canti del Moroncini, pp. LXIX s.).

La composizione, che risale al 1810, è testimonianza degli orizzonti culturali del Leopardi in quel periodo, ancor orientati verso il ’700 e verso l’Arcadia, nella fattispecie alla tradizione favolistica italiana e a uno degli alfieri della stessa, l’abate Roberti, che scrisse, nello stesso metro, composizioni molto simili, cui Leopardi, stando alla Corti, sembra proprio fare il verso. Sennonché, mentre nel Roberti l’uccellino fuggitivo veniva connotato negativamente, qui la fuga verso la libertà acquista caratteri che definirei, nella loro superficialità para-americana, quasi attuali, e comunque molto più moderni.

 

L’Ucello.

FAVOLA.

 

Entro dipinta gabbia

Fra l’ozio ed il diletto,

Educavasi un tenero,

Amabile augelletto.

A lui dentro i tersissimi

Bicchieri s’infondea,

Fresc’acqua, e il biondo miglio

Pronto a sue voglie avea.

Pur de la gabbia l’uscio

Avendo un giorno aperto,

Spiegò fuor d’essa un languido

Volo non bene esperto.

Ma quando a lui s’offersero

Gli arbori verdeggianti,

E i prati erbosi, e i limpidi

Ruscelli, tremolanti;

De l’abbondanza immemore,

E de l’usato albergo,

L’ali scuotendo volsegli

Lieto, e giocondo il tergo. =

Di libertà l’amore

Regna in un giovin cuore. =

 

 

 

 

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© 07-05/2010—> 02.10.2010