Il testo proposto è direttamente esemplato sulla riproduzione dell’autografo napoletano, che consta di un solo foglio, scritto sul solo recto. L’omissione del punto fermo a fine titolo, non insolita nel 1817-18, è leopardiana. Non lo è invece la numerazione ai versi, aggiunta per comodo. Si è tuttavia rinunciato, anche se a malincuore, alla seduzione estetica di un’interlinea aggiunta, a separare quartine e terzine fra loro e fra se medesime, in quanto non presenti nel manoscritto.

 

Metro – Sonetto a schema anomalo, con prima quartina a rima alterna e seconda incrociata e inversa (ABAB, BAAB); terzine a due rime alternate (CDC, DCD)

 


Letta la Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso

 

In chiuder la tua storia, ansante il petto,
Vedrò, dissi, il tuo marmo, Alfieri mio,
Vedrò la parte aprica e il dolce tetto
Onde dicesti a questa terra addio.

Così dissi inaccorto. E forse ch’io
Pria sarò steso in sul funereo letto,
E de l’ossa nel flebile ricetto
Prima infinito adombrerammi obblio:

Misero quadrilustre. E tu nemica
La sorte avesti pur: ma ti rimbomba
Fama che cresce e un dì fia detta antica.

Di me non suonerà l’eterna tromba;
Starommi ignoto e non avrò chi dica,
A piangere i’ verrò su la tua tomba.




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Primo Sonetto composto tutto la notte avanti il 27 Novembre 1817, stando in letto, prima di addormentarmi, avendo poche ore avanti finito di leggere la vita dell’Alfieri, e pochi minuti prima, stando pure in letto, biasimata la sua facilità di rimare, e detto fra me che dalla mia penna non uscirebbe mai sonetto; venutomi poi veramente prima il desiderio e proponimento di visitare il sepolcro e la casa dell’Alfieri, e dopo il pensiero che probabilmente non potrei. Scritto ai 29 di Novembre.

 

 

13.zo verso.

E come a te non fia ch’altri mi dica.

E non fia come a te ch’altri mi dica.

E non fia chi di me leggendo dica.

 

 

 

Nota filologica – Nel paragrafo in prosa Paola Italia (Gavazzeni 2009) legge pochi minuti prima[,] stando pure in letto. In realtà la virgola non pare barrata, in quanto si presenta come un uncino insolito ma tutt’altro che assente dalla grafia leopardiana; ed è lezione finale, in quanto apposta in uno spazio veramente esiguo, che non contempla fisicamente lo spazio per una virgola inserita all’origine. Sintetizzando: 1. prima stando —> 2. prima,stando (= prima, stando). Corretta invece la lettura sepolcro e la casa da un preced. sepolcro e ca<sa> con l- ricavata su c-. Sottolineo inoltre, come già accennato nella nota critico-testuale, le frasi leopardiane «composto tutto la notte avanti il 27 Novembre 1817, stando in letto» e «Scritto ai 29 di Novembre»: nel primo ’800 non esistevano né abat-jour né penne a sfera. A letto ci si andava per dormire (oddio, anche per altro, ma nella fattispecie non è rilevante), mentre il caso di Cartesio era alquanto anomalo, né mi ricordo esistano testimonianze precise (1) su Giacomo. Ma, anche se esistessero, preste o tarde che fossero, il dettato è chiaro: sonetto composto il 26/27, messo su carta il 29. Inchiostro usato per testo nota e prime due varianti il medesimo, ductus lo stesso. A chi scrive “varianti e nota son scritte invece il 29” l’onere di dimostrare che il sonetto era già su carta da tre giorni (2).

 

1 — Testimonianze, a dir il vero, ne esistono, a cominciare dal Diario del primo amore, scritto pochi giorni dopo: «Ieri, avendo passata la seconda notte con sonno interrotto e delirante, durarono molto più intensi ch’io non credeva, e poco meno che il giorno innanzi, gli stessi affetti, i quali avendo cominciato a descrivere in versi ieri notte vegliando, continuai per tutto ieri, e ho terminato questa mattina stando in letto». Ove però, a prescindere che quel «terminato» non significa espressamente ‘scritto’, quel «vegliando» si accorda meglio con quanto ne scriveva il fratello Carlo nel 1845 (cfr. l’Appendice all’Epistolario del Viani, Firenze Le Monnier, 1878, p. xxx): «avendo sempre nella prima età dormito nella stessa camera con lui, lo vedeva, svegliandomi nella notte tardissima, in ginocchio avanti il tavolino per potere scrivere fino all’ ultimo momento col lume che si spegneva». È anche vero che nel periodo bolognese, a temperare i rigori dell’inverno, sappiamo, per testimonianza del Brighenti, che Leopardi passava ore imbacuccato in letto a studiare. Come è vero, per testimonianza del Ranieri, che componendo i Paralipomeni, ne mandava intere strofe a memoria prima di affidarle alla carta per mano dell’amico. Però mi sembra di ricordare anche, in un periodo posteriore e non a Recanati, qualche effettiva testimonianza di scrittura a letto. È superfluo aggiungere che il modo di comporre di Giacomo ha una sua rilevanza, da rapportare a quello che ne scriveva al cugino Melchiorri, da cui veniamo a conoscere, ed è d’altronde confermato dagli autografi, che il poeta era spesso solito mettere su carta, d’un tratto e con «frenesia», degli abbozzi in prosa, e poi in seguito versificarli, per una altrettanto subitanea ispirazione, e non senza un lungo e tormentoso labor limae.

2 — Se qualche dubbio può sorgere per la nota, scritta più in piccolo, le prime due varianti, che seguono la nota, non presentano apprezzabili differenze di tratto dalla grafia del sonetto.

 

 

 

© 08.02.2010 —> 20.01.2014