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Al Conte Monaldo Leopardi.

 

Napoli, 17 giugno 1837.

Veneratissimo Sig. Conte.

 Spero che Iddio le conceda più forza che a me per affrontare la terribile sciagura con la quale gli è piaciuto di visitarci. L’orrore del mio stato non si può descrivere con parole, nè io posso esserle largo di quelle consolazioni delle quali sono io medesimo disperato.

Se la spaventevole desolazione nella quale mi trovo non mi ricongiungerà fra pochi dì al mio solo ed eterno amico, potrò forse descriverle tutti quei particolari che possono essere desiderio del cuore d’un padre. Ma per oggi tutto ciò che potrò dirle, è troppo.

Sappia che l’angelo, il quale Iddio ha chiamato alla sua eterna pace, ha fatta la più dolce, la più santa, la più serena e tranquilla morte, ed ancora la meno creduta e meno avvertita. Il cholera empie di stragi incredibili questa città. Le leggi che proibiscono la distinzione dei cadaveri sono terribili: tutti, grandi e piccoli, colerici e non colerici, sono trasportati e confusi nel Campo santo (1); e il ministro della Guerra, morto non di colera (2), fu non ha guari confuso con le migliaia. E pure Iddio ha conceduto a tanto mio affetto, a tante mie lacrime, a tanta santità di amicizia, il ritrovare un modo di salvare il corpo di quel grande uomo da così brutta confusione. Di tanto Iddio misericordioso è stato (3) benigno ai miei sforzi, che non solo il corpo del nostro adorato ed eternamente adorabile Giacomo è distinto, ma non è al Campo Santo. Esso è stato rinchiuso in una splendida cassa di noce, con uno smalto giallo sopra, nel quale era scritto in lettere nere: Conte Giacomo Leopardi di Recanati; ed accompagnato in sulle ventiquattro (4) del dì quindici con quella santità di pompa che l’orrore della strage presente permetteva, a notte buia è stato condotto, vincendo mille pericoli e mille ostacoli, accompagnato da tre cocchi nella chiesa di san Vitale Fuori-Grotta (5); dove è stato (6) provvisoriamente deposta la cassa in una stanza sotterranea dove non erano altri corpi. In quella chiesa gli sarà innalzato al più presto un monumento, certo non degno di un nome così grande che varcherà la più remota posterità che Iddio concederà a questa terra; ma che attesti almeno quanta ammirazione quanta (7) carità destò quella creatura angelica nel cuore di chi fu degno di conoscerlo, e qual solco di eterno dolore vi lasciò impresso. Quivi riposerà fra i sepolcri, poco quindi distanti, di Virgilio e di Sannazzaro; e quivi trarranno i forestieri a venerare la sua memoria fra le venerande antichità che circondano quei luoghi. Per il quale scopo non ho mancato di far gettare la maschera di gesso sul cadavere e farlo anche ritrarre a lapis dal signor Tito Angelini, nostro pregiato artista. (8) La cassa è chiusa a due chiavi che conservo entrambe sul cuore.

Mi permetta, Sig. Conte, per oggi di baciare la mano del padre del mio fratello, del padre mio per conseguenza, e mi conceda d’arrestarmi qui, dove le mie debolissime forze mi hanno potuto condurre. Ma appresso le scriverò di tutt’altro.

Il suo sventuratissimo ec. (9)

Anto. Ranieri.

PS. Ho fatto troncare alla nostra cara creatura una ciocca di capelli, dei quali manderò a lei una parte.

 

 

1Camposanto G. Piergili

2colera G. P.

3– «Le parole è stato nell’autografo sono ripetute». [nota di G. Piergili]

4– Non tutti se ne sono accorti, ma con “ventiquattro” dovrebbe intendersi l’ora napoletana (non solo napoletana, ma italiana d’allora, che era normalmente accettata, anzi adoperata dallo stesso Monaldo, con conseguenze non ininfluenti la stessa biografia di Giacomo) equivalente, grosso modo, alle nostre otto di sera. Per cui certe fantasie gotico-tardo-notturne, su cui molto si è romanzato nel secolo da poco scorso, potrebbero non essere del tutto giustificate.

5– «nella chiesa di san Vitale <di là della Grotta di Pozzuoli, detta San Vitale> Fuori-Grotta» [G. P., segni d'integrazione miei]

6– «Così nell'originale». [nota di G. P.]

7ammirazione, quanta [G. P.]

8– Si omette la lunga nota del Piergili sul ritratto che di Leopardi fece Luigi Lolli.

9– Certe esagerazioni evidenti nel dolore del buon Ranieri, cui accennava il classico Ridella, non sembrano del tutto fuor di luogo; ma non si dovrà tacere il carattere di consolatoria  di queste lettere, con ciò che di letterario è implicito in esse. Ciò premesso, stigmatizzarne più del dovuto l’autore potrebbe obbedire a tesi preconcette.

 

 

© 08-02/2010—> 03.06.2010