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Lettera di Antonio Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti

(1 luglio 1837)

 

 

Testo secondo Elisabetta Benucci,  «Aspasia siete voi», Lettere di Fanny Targioni-Tozzetti e Antonio Ranieri, Edizioni Osanna Venosa, Venosa, 1999, p. 134 ss., che modifica in non pochi punti, per altro non sostanziali, i precedenti editori (Gotti, D’Ancona). Il testo è reperibile nell’internet, in vari siti, ma tutti approssimativi e platealmente scorretti (mi si esenti dal citar gli indirizzi). La lettera era in origine inclusa in una missiva al Niccolini, ovviamente con identica data. Maggiori notizie sono reperibili nel bel libro della Benucci.

 

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Napoli 1 luglio 1837

Mia cara Fanny

La specie di dolore ch’io sento non fu mai sentita da nessun uomo, perchè mai non fu e mai più non sarà fra gli uomini un’amicizia uguale a quella che mi stringeva al mio adorato Leopardi. Il vòto immenso, infinito ch’io sento nel mio cuore non sarà potuto mai più compiere, perchè degli ingegni (1) simili a quello del Leopardi ne comparisce uno ogni tanti secoli sulla terra. Com’è possibile, Dio mio! com’è possibile di non credere al male in questo infausto pianeta, se Iddio, o il caso, o il fato, o qualunque sia questo potere cieco e tirannico che ci governa (2), ha potuto consentire che si desse al mondo un amore, una necessità simile a quella che era fra Leopardi e me, e che uno di noi fosse condannato a sopravvivere all’altro! Ahi, mia cara Fanny, ho fatta la tremenda esperienza d’una grande eccezione a una gran regola! Tutto al mondo, il male come il bene, è nell’effetto al di sotto di quel che fu nella immaginativa che lo presuppose, salvo il dolore della perdita dei nostri cari, che nell’effetto è al di sopra di quanto potette ne’ suoi più strani delirii immaginare la più fervida e spaventata fantasia!

Leopardi è mancato all’Italia, anzi a tutto il mondo civile, d’un’idropisia di cuore (3) che da gran tempo lo minacciava, e incontro alla quale sono stati indarno tutti i rimedi che era possibile ai mortali di adoperare. Egli mi spirò fra le braccia mentre eravamo per muovere per la campagna, mercoledì 14 di giugno a ventun’ora (4), non credendo, insino all’ultimo istante, di dover passare, finchè un secondo prima non mi disse: Addio, Totonno, non veggo più luce. Io gli accompagnai il polso che salì lentamente, finchè fu spento, gli collai le mie labbra sulle sue, che già fredde non risposero più a’ miei baci, e così mi persuasi che non era più. Benchè gettato di ferro dalla natura, se la peste non mi ricongiunge tosto all’amico, la mia salute non risorgerà mai più da questo colpo.

Potete immaginare quale terribile sforzo mi sia dovuto costare in quel primo assalto del dolore il dover provvedere al modo di salvare la sua onorata spoglia dalla confusione universale, ora che per legge austera ed inviolabile tutti i cadaveri de’ colerici e non colerici debbono essere trasferiti al Camposanto, che ministri di Stato e personaggi quanto si voglia altissimi, morti o non di cholera, sono precipitati in un fossa fra le migliaia. Io non so in qual remota parte dell’anima mia io trovai la forza di ravvolgermi tutta quella notte orribile, e l’altra più orribile ancora, per la città, e d’ottenere, o più tosto di riuscire a viva forza nell’intento che la spoglia adorata, chiusa in una splendida cassa con sopravi smaltato il nome eternamente onorato, fosse, con quella pompa che le condizioni del tempo consentivano, trasferita nella chiesa di San Vitale fuori la Grotta detta di Pozzuoli, dove, custodito in una sepoltura a parte, gli sarà fra poco rizzato un monumento, e le sue ossa riposeranno appresso a quelle di Virgilio e di Sannazzaro. Cara Fanny, vi basti sapere che la notte del 15 al tocco fu dovuta dare sotto la lugubre Grotta una specie di battaglia ordinata, non al tutto innocente, che finalmente l’oro divise (5).

A questo dolore era destinato io dopo sette lunghi anni d’una specie di corrispondenza direi quasi piú che umana con questo ingegno divinissimo, accanto al quale passava tutto il dì e grandissima parte della notte a discorrere le più sublimi ragioni della filosofia, della storia, e di qualunque cosa v’ha o vi fu tra gli uomini di bello o di grande. Ma quando seppi e vidi e messi con queste mie mani le sue spoglie in salvo, le forze mi abbandonarono. Mi ritrassi in un sobborgo della città, dove ho creduto a questi ultimi dì che insieme con le forze volesse abbandonarmi la ragione. Perchè mi sorprendo spessissimo a vederlo e udirlo accanto a me, e parlargli (nè vi racconto già favole) come a persona viva e vera.

Addio, mia cara Fanny, vi scrivo da una città confusa e desolata, dove tutto ciò che ti circonda è morte e lutto. Siamo a duemila casi il dì, e i morti in proporzione, dico la sola città senza i contorni; e non credete a’ giornali. Il male cresce sempre, e la strage incredibile fra la quale mi trovo, che farà in breve crescere l’ortica lungo Toledo (6), è una spezie di fiero conforto al mio cuore sdegnato degli uomini e della Divinità e di qualunque cosa o si vede o s’immagina. Addio. Ho scritto per ora una breve notizia di quell’altissimo ingegno, che ho mandato al Progresso (7). Addio. Scrivetemi.

Il vostro disperato

A. Ranieri

 

PS. D’Aquino venne a vedermi pochi dì sono, e il dì stesso morì in tre ore di cholera.

 

 

1 – Parola cara al Ranieri, che la userà ripetutamente nella Notizia premessa alla lemonnieriana del 1845. Qui conta rilevare che «ingegno» vale il nostro "genio", nel senso di persona superiore di gran lunga alla media.

2 – Sono evidenti le reminiscenze del pensiero leopardiano, in particolare A se stesso («Il brutto | poter che, ascoso, a comun danno impera»), l’abbozzo A Arimane, il passo dello Zib. 4174 «Tutto è male…», ecc.

3 – Così il certificato di morte, redatto dal prof. Stefano Mollica. L’eventuale certificazione di morte per colera avrebbe reso inevitabile il seppellimento nella fossa comune. Come che sia avvenuto, sono attestati, nei giorni e nelle settimane antecedenti al decesso, i timori del Ranieri per la grave idropericardia dell’amico. Cui va aggiunto che il Ranieri non era affatto digiuno da conoscenze di medicina.

4 – Equivalenti alle nostre cinque pomeridiane.

5 – Vale a dire che si sborsò del denaro. Forse a più riprese, ché il carro funebre venne in un primo tempo bloccato. Per un’ironica versione dei fatti vedi quel che ne scrisse il Settembrini nelle Ricordanze (cap. XI, ad fin.). Maggiori notizie esulano dal presente scritto.

6 – La via principale di Napoli.

7 – Vedila, con ampio commento, nel mio sito. Il «Progresso» era giornale pubblicato a Napoli, notoriamente inviso al Leopardi, ed anche allo stesso Ranieri.

 

 

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