Note

 

5 cubito — Latinismo, per ‘gomito’.

6 facile — Non intenderei «comodo» (Rigoni), ma piuttosto ‘adatto, acconcio, che si presta a far da posto ove sedersi’.

9 chiamarlo al sonno — Particolare realistico, che va oltre la pura grazia arcadica. In effetti, nel corso del componimento, motivi idillici si alternano a motivi patetici, motivi realistici a motivi sentimentali, non sempre armonizzati fra loro, ma spesso non infelici.

15 lucido insetto — Cioè una lucciola: lucido = ‘luminoso’.

22 maggior fratello — Giacomo, primogenito, era il maggiore dei figli di Monaldo: v’è probabilmente nell’idillio una sorta di sdoppiamento: da un lato l’identificazione sgomenta nel figlio che muore, conforme a quelle meditazioni che porteranno alla cantica L’appressamento della morte. Dall’altro quella reale del figlio che vede morire il fratello, esperienza non inusuale in casa Leopardi, e che Giacomo aveva vissuto con profondo turbamento, come ci attesta Monaldo in occasione della morte (1803) del fratellino Luigi Gradolone: «Prima che uscisse di casa ho voluto che i suoi Fratelli lo vedessero e lo baciassero, e Giacomo Tardegardo ne ha pianto dirottamente la perdita, quantunque in età di soli anni quattro e mezzo» (Antona-Traversi, Documenti e notizie intorno alla famiglia Leopardi, Firenze, Münster, 1888, p. 96).

25 nol vedi più — Cfr. Zib. 644 ss.: «Vedendo partire una persona, quantunque a me indifferentissima, considerava [645] se era possibile o probabile ch’io la rivedessi mai. Se io giudicava di no, me le poneva intorno a riguardarla, ascoltarla, e simili cose, e la seguiva o cogli occhi o cogli orecchi quanto più poteva, rivolgendo sempre fra me stesso, e addentrandomi nell’animo, e sviluppandomi alla mente questo pensiero: ecco l’ultima volta, non lo vedrò mai più, o, forse mai più. E così la morte di qualcuno ch’io conoscessi, e non mi avesse mai interessato in vita, mi dava una certa pena, non tanto per lui, o perch’egli mi interessasse allora dopo morte, ma per questa considerazione ch’io ruminava profondamente: è partito per sempre - per sempre? sì: tutto è finito rispetto a lui: non lo vedrò mai più: e nessuna cosa sua avrà più niente di comune colla mia vita. E mi poneva a riandare, s’io poteva, l’ultima volta ch’io l’aveva o veduto, o ascoltato ec. e mi doleva di non avere allora saputo che fosse l’ultima volta, e di non [646] essermi regolato secondo questo pensiero. (11. Feb. 1821)». I corsivi sono nel testo.

25 Le prime rose — Quindi a primavera: Filino va ad unirsi alla schiera di personaggi leopardiani (Silvia, Nerina ecc.) la cui vita finisce immaturamente.

29 Perché non giuochi? — Cfr. il Passero solitario: «non compagni, non voli | Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi» ecc.

65 s. l’ampia | camera — L’enjambement rende più ampia la frase. Sul piano retorico gli artifici a volte si lasciano travedere più del necessario, ma l’assimilazione della tradizione comincia a dare i suoi frutti.

74 Giunsi, tolsi ecc. — Quasi un veni vidi vici, a denotar la fretta.

86 Trista la mamma — Lungi da me lo spezzar una lancia per Adelaide Antici, ma poiché questo passo ha dell’autobiografico, forse bisognerebbe accostarlo a quello universalmente deprecato dello Zibaldone: tracce di tenerezze di Adelaide nei confronti di Muccio, dopotutto, ne esistono (ricordo un «Mucciaccio» in una delle rare lettere alla madre, che par certo riferirsi a un nomignolo burbero affettuoso che la madre dava a Giacomo bambino).

94 – «Nell’autografo, di seguito “ah figlio, disse”, si legge come variante, tra parentesi “ahi, mi rispose”» (Mestica p. 79, n. 2). Ho creduto opportuno di evidenziar  diplomaticamente la variante, ovvero nella stessa posizione dell’autografo.

103 Di riaprirgli cercai — Il particolare è impressionante e realistico, e mi domando se non sia autobiografico.

103 quanto io piansi — Cfr. il passo di Monaldo citato supra.

140 – Come già il figlioletto alfine anche Micone non regge al dolore; piuttosto che cercar d’interpretare logicamente (“Tu, povero Filino, se fossi morto io, sapresti dimenticarmi?”), intenderei, manzonianamente, «Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica».

 

 

© 01-05/2010—> 15.05.2012
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